Lo chef stellato del ristorante Il Saraceno, in provincia di Bergamo, punta su una cucina marina che guarda alla Costiera di cui è nativo. Pesce pescato nazionale, niente allevamento, preparato con sobrietà per valorizzare la materia prima

Amalfi l’ha vista da bambino. Roberto Proto, 46 anni, ora lavora a Bergamo, dove ha trovato notorietà, la stella Michelin, e il cuore: la moglie Maria. Con lei guida Il Saraceno, a Cavernago, paese di tremila abitanti a 7 minuti dalla città. Pesce di altissima qualità, gusti sobri senza eccessi è il format del ristorante. «Un’apparente semplicità» che conquista il palato con classe. Lo abbiamo testato durante un pranzo. L’interno ha un’eleganza non scontata, due sale, 40 coperti: pareti colore verde petrolio nella prima, grigio che scalda grazie a una presenza di rosa nella seconda, come il tortora delle poltroncine. I quadri di Patrick Corrado, artista e designer, basati sulla frammentazione delle immagini fotografiche, danno un tocco disruptive. Una scorsa alla carta dei vini, 400 etichette, denota una larga prevalenza di bollicine: champagne (circa 70), Franciacorta e metodo classico (una cinquantina) e molti bianchi.

Nel prossimo futuro apparirà sempre di più l’anguilla nei menu dei ristoranti, anche l’ombrina avrà sempre più spazio

Cominciamo il nostro menu con gli stuzzichini accompagnati da uno champagne Gaston Chiquet e quindi da un Comtes de Dampierre (42 mesi sui lieviti): fonduta di parmigiano, pistacchio di Bronte; bignè al nero di seppia con ripieno di crema di carote, cardamomo e cialda di grano e zenzero; chips di riso. Quindi l’entrée di benvenuto, gomitolo di gambero rosso fritto, pasta greca kataifi con salsa giardiniera home made e polvere di liquirizia. Deliziosi.

Arriva la prima portata. Perla di gambero rosso di Mazara del Vallo farcita di burrata, foglie basilico greco, consommé di vongole veraci e zenzero, chips di verdura. Goduriosa! Lo accompagniamo con un Bellavista Alma Terra 2014 (Chardonnay in purezza).

I sapori si fanno più discreti e delicati con il Giardino di mare: capesanta leggermente scottata, crema di verdure di stagione (fave, piselli e asparagi di Albenga), tapioca insaporita con clorofilla di basilico e rucola, germogli e fiori edibili. Un piatto che appaga anche esteticamente con i suoi magnifici verdi.

Il tono si alza d’improvviso con Ricci di mare, catalogna, kefir di capra e l’intenso pecorino di Gavoi. Una preparazione esplosiva nelle sue sapidità. Si avverte l’eco del mare, il gusto iodato e salmastro, con il Risotto in paesaggio marino: riso Carnaroli Salera mantecato con fitoplancton e gocce di limone, piccoli crostacei conditi con la loro bisque.

A nostro giudizio il top viene raggiunto con il Polpo laccato con aceto di Barbera e miele, cipolla di Tropea, salsa alla ‘nduja di Spilinga, gel di cipolla rossa di Tropea e crema al chili. Una corolla di sapori entusiasmante. Il polpo è cotto sbollentato, laccato, quindi brasato in padella. La cipolla è, invece, cotta con il roner per tenerla morbida e poi arrostita in padella.

Chiudiamo con il dessert: gelatina di camomilla, crumble e crema al pistacchio di Bronte, spuma di vaniglia del Madagascar, pepe, oro alimentare e fiori eduli.

Roberto, un amalfitano che propone pesce a Bergamo: perché?
«Mio padre, amalfitano e oggi 82enne, è arrivato a Bergamo nel ‘76 . Ha fatto 7 anni in Svizzera: faceva il maggiordomo in una villa di industriali. Lui e mia madre si sono fermati a Cavernago perché c’era un bar in affitto. Volevano poi ritornare in Costiera ma non sono più andati via. Si chiamava Da Salvatore. C’era il bar e una decina di tavoli per camionisti. Piatti semplici. Nel tempo si è alzato il livello, da trattoria a ristorante e pizzeria. Nel 2002 lo hanno lasciato a me e a Maria, che è del paese ed è laureata in Psicologia. Nel fine settimana cercava una pizzeria dove arrotondare per mantenersi gli studi. Ho cercato in largo e lungo una morosa, ed era qui a 150 metri! Nel 2007 abbiamo tolto la pizza per avere solo il ristorante. Nel 2014 è arrivata la stella: non me lo aspettavo, anche se i clienti ci dicevano che la meritavamo».

I bergamaschi apprezzano questa scelta di puntare sul pesce?
«È una scelta che ho fatto da subito: seguo le mie origini. sono autodidatta, mai fatto scuole, niente stage, niente estero».

L’interno è molto bello, chi si è occupato del design?
«Niente designer, sono le nostre idee. Maria è anche sommelier. Facciamo tutto in casa. Ogni anno facciamo poi una ristrutturazione, serramenti, pavimenti, bagni, poltrone, ogni anno un tassello».

Avete menu particolari?
«Abbiamo, per esempio, un menu di crudité. Niente menu vegetariani o vegani, per ora. Un vantaggioso menu Ingruppo, 60 euro vini inclusi che ci permette di riempire il locale (40 coperti). Nessun trucco: sono piatti di qualità. Facciamo anche un business lunch (tranne sabato e domenica): due primi e due secondi a scelta a 25 euro con calice di vino».

Spiegami la tua cucina.
«Punto sul pesce, l’idea è usare al 99 per cento pescato nazionale, da piccoli pescatori. Mi arrivano i prodotti soprattutto da Sant’Antioco: il pesce più spicciolo, come le vongole, da Orobica Pesca. Nella proposta del giorno metto il pesce che mi arriva: la pezzonia, per esempio, è tipica della Costiera. Tra le ultime scoperte il centrolofo viola, simile alla cernia. Lo presento crudo. E poi il dotto. Da Longino prendo solo il fitoplancton (5mila euro al chilo, ndr) per un risotto. Oggi non lo posso più togliere dalla carta: ho una serie di clienti che viene solo per quello».

Un pesce su cui scommettere?
«L’anguilla. Più si andrà avanti e più si troverà in carta. Poi l’ombrina. È una carne che non ha niente da invidiare a una spigola di lenza. Ma c’è tanto allevamento».

Non ti piace il pesce d’allevamento?
«Non lo uso mai: solo italiano e pescato. Il mare nazionale è più sapido e dunque più saporito, l’Atlantico è più dolce e viceversa è meno saporito. È una vergogna che nelle zone di mare si serva il congelato estero d’allevamento».

Si trova sempre il pescato nazionale?
«In base a quello che trovo, mi adeguo con il menu. Ci sono poche capesante, per esempio, non sempre c’è continuità».

Qual è il vegetale che si abbina meglio con il pesce?
«A me piace la cima di rapa, cotta: con una spigola, un dentice, per esempio. Ha un gusto amarognolo. Amo poi la melanzana, ma va ben calibrata».

Qualche nuovi piatto che troveremo in carta?
«Il Giardino di mare; mazzancolle, asparagi, salsa all’uovo e caviale al tarufo nero; i Ricci di mare, catalogna, kefir di capra e pecorino di Gavoi; i pennoni, una pasta di Gragnano, con pistacchio di Bronte, burrata e gambero rosso di Sicilia a crudo affumicato».

Avete anche clientela estera?
«Spesso è legata alle aziende dei dintorni. Arrivano da Singapore, Uruguay, India. Siamo a soli 10 km da Bergamo».

I piatti sono molto particolari e vari.
«Spesso li disegno io poi li faccio realizzare di chi lavora vetro e ceramiche: è un po’ come la cornice per un quadro, fanno la differenza».

Dove trovo il gusto di Amalfi al Saraceno?
«Uso il limone Sfusato nel risotto, il Provolone del Monaco, le Nocciole di Giffoni, la pasta di Gragnano (Di Nola), un raviolo con ripieno di pollo alla cacciatora, tipico delle nostre zone. È appena uscito di carta pasta, patate e vongole. Il dessert “Limone… punto” ricostruisce lo Sfusato di Amalfi. Alla fine cerco un filo conduttore con la Costiera».

Che cosa trova un cliente al Saraceno?
«La freschezza del pesce, unita a sobrietà. È un apparente semplicità. Faccio fatica a trovare la materia prima di qualità e non la voglio stravolgerla, ma valorizzarla in modo equilibrato, con sapori distinti che non vadano a coprire. Ogni tanto mi piace anche divertirmi. Il piatto con i ricci è, per esempio, un po’ azzardato. Il pecorino di Gavoi ha piccantezza e ricca sapidità: riempie la bocca e va un po’ a coprire i sapori».

Che strumenti usi in cucina?
«La mia cucina non è di quelle spaziali, ma abbiamo abbattitori, essiccatori, un paio di roner, i sifoni».

Anche tu ti fai tentare dall’esotismo?
«Sto lavorando con yuzu, tè matcha in polvere su antipasto di crudità. Quando arriva al tavolo, con il sifone concludiamo con una spuma di mandorle. Abbiamo da poco inserito il piatto nel nuovo menu».

Chi stimi tra i colleghi?
«Mi piace la cucina (anche concettualmente), di Giancarlo Perbellini: anche quella non è di effetti speciali ma ha grandi sapori e tecnica. Poi Cannavacciuolo per creazioni e abbinamenti e Lionello Cera con il suo ristorante solo di pesce».

Sembra provocatorio in un ristorante che punta sul pesce: ma se un cliente chiedesse della carne?
«Nell’ultimo anno abbiamo inserito qualche proposta di terra. I clienti che girano tra gli stellati vogliono provare anche quella. Ho messo il cube roll con variazioni di patate; la pancia di maialino con semi e albicocche disidratate e cumino; e il piccione (con pastinaca e wasabi) che in uno stellato cercano sempre».