Il fondatore Marco Rivolta racconta come è nato il pluripremiato Rivo Gin, prodotto con botaniche fresche e attività di foraging sull’alto Lario: «I luoghi dove mia madre raccoglie le erbe erano chiamati localmente i prati delle streghe»

Stendhal adorava il Lago di Como. La sua brezza che spirava dalle acque blu, così nordiche. Le emozioni di quelle acque, delle sue montagne, rivivono distillate in Rivo Gin, il primo gin italiano, e tra i pochi al mondo, prodotto con botaniche fresche. Erbe raccolte nei «prati magici» tra Menaggio e Argegno, sull’alto Lario. Che conferiscono un bouquet intrigante, floreale e nel contempo balsamico, di una freschezza e persistenza uniche. Il creatore di questa pozione magica è Marco Rivolta, 33 anni, studi di ingegneria gestionale, appassionato di spirits. Lo affianca in questa azienda eroica la madre Gianna, incaricata della selezione e raccolta della materia prima, grazie a un’attività di foraging di comprovata esperienza.

Rivo Gin è oggi il gin italiano più premiato al mondo.
«Abbiamo preso medaglie d’oro a Hong Kong, New York, Germania: riconoscimenti sia per il prodotto sia per il packaging. Con il confezionamento abbiamo vinto anche il Red Dot Design Award, una sorta di Oscar mondiale per il design. Questi premi sono importanti per avere credibilità all’estero».

Con quale obiettivo è nato Rivo Gin?
«Creare un prodotto autentico: tutti parlano di differenziazione e innovazione, per me è autenticità. Rivo non nasce dalla folgorazione sulla via di Damasco, ma dall’incrocio di passioni familiari. Quella di mia madre, che da sempre studia botanica, raccoglie e coltiva erbe, e la mia per i distillati».

Quando nasce il progetto?
«Nel 2014, abbiamo impiegato quasi due anni per capire e selezionare quali botaniche raccogliere sul Lago di Como e il tipo di bouquet. Cercavamo un profilo di gusto diverso. La prima bottiglia è stata lanciata nel 2016. Abbiamo la sede a Cantù, ma la maggior parte del tempo è passata in montagna a raccogliere le erbe».

Quali e quante sono queste botaniche?
«Ne utilizziamo dodici. Quelle locali sono la pimpinella, santoreggia, timo, melissa. Altre le teniamo segrete. La raccolta avviene tra Argegno e Menaggio, nella parte alta del Lago di Como. Da quel momento abbiamo due ore e mezzo di tempo per portarle ad Asti presso l’Antica Distilleria Quaglia, azienda che vanta una tradizione di vermouth e bitter».

La tempistica è fondamentale?
«Sì, altrimenti la botanica secca e appassisce. La melissa è delicatissima, già dopo pochi minuti sembra “bruciare”. La raccolta la fa ancora mia madre con altre persone appassionate di etnobotanica. Una cosa da pazzi, se ci si pensa. E che alla fine si traduce in circa un migliaio di bottiglie».

Qual è il plus di usare la botanica fresca?
«La carica aromatica. È super. I gin in circolazione usano tutti botaniche essiccate e quasi sempre le stesse. Il nostro bouquet è particolare, è stato più volte pensato e ripensato. Volevamo qualcosa che si differenziasse sul mercato».

Come lo definiresti?
«È un gin fresco, con note citriche e floreali e reminiscenze mediterranee. C’è anche una balsamicità data da note di sottobosco e dalle mente».

La chiave è il territorio.
«Sì, oggi in tanti si mettono a fare il gin: noi abbiamo fatto una scelta diversa, legandolo al territorio, al Lago. Anche il nostro packaging lo racconta».

In che modo?
«I luoghi erbosi dove mia madre raccoglie le botaniche erano chiamati localmente i prati delle streghe, dove si attingeva per realizzare rimedi medicamentosi. L’elemento della magia e del mistero caratterizzano il packaging con linee geometriche astratte. La bottiglia ha messaggi nascosti, le 12 stelline sono le 12 botaniche che usiamo. Il cambio di motivo sul collo della bottiglia vede stilizzate da un lato le montagne e dall’altro le onde del lago».

Quali sono le altre botaniche non locali che usate?
«Quelle che definiscono il gin: il ginepro, toscano, poi cardamomo, coriandolo, angelica che arrivano dall’estero».

Come definiresti Gin Rivo al sorso?
«Una ventata di freschezza e libertà. È il vento del lago di Como che ti passa tra i capelli nelle giornate di primavera. Una brezza magica».

Come si beve il Gin Rivo?
«È molto usato in miscelazione, con un Negroni, Hanky Tanky, Gin&Tonic. I locali migliori di Milano ce l’hanno: Octavius Bar, Iter, Rita & Cocktails, Ugo Bar, Luca e Andrea, Lacerba».

Spira anche un vento a favore del consumo di gin, soprattutto tra i giovani.
«Il gin sta vivendo la sua rinascita, soprattutto in Italia. Dalla mixology sta arrivando a un pubblico sempre più ampio».

Il naturale del gin, si tratta alla fine di alcol e erbe, niente coloranti o chimica, è un driver?
«Sì, soprattutto per Rivo Gin è una chiave. Noi siamo tra i pochissimi al mondo a fare un gin dove il produttore raccoglie direttamente le erbe in natura. È un foraged gin».

Siete conosciuti anche all’estero?
«Germania e Inghilterra. La curiosità è che il primo gin nasce nel nostro Paese: le prime acquaviti con ginepro erano fabbricate dalla Scuola Medica Salernitana. Poi c’è stato il passaggio all’Olanda e all’Inghilterra. Oggi c’è una new wave italiana».

A quali prossimi eventi parteciperete?
«Saremo al Milano White Spirits Festival, ad aprile».