Il Mogu lo produce la start up Mycoplast, azienda vincitrice di Alimenta2Talent. Tante le applicazioni industriali, dall’interior design al packaging

Riutilizzare gli scarti alimentari per produrre nuovi materiali naturali e nuovi packaging. Diverse start up ci lavorano. Il riciclo è sostenuto dall’Ue: significa meno rifiuti. Dunque più basse emissioni di CO2 e prodotti con minore impatto sull’ambiente anche in termini di consumo di energia. E con un vantaggio per molte aziende, i cui scarti di produzione sono un costo. Mycoplast, sede a Inarzo, sul Lago di Varese, è una delle più interessanti. Fondata nel 2015, ha sviluppato un biomateriale che ha chiamato Mogu (fungo, in cinese), producibile su scala industriale, utilizzando miceli e scarti provenienti da filiere agroindustriali. L’azienda, fresca vincitrice di Alimenta2Talent, il programma di accelerazione per progetti di impresa dedicato a start up innovative per l’economia circolare, sviluppato dalla Fondazione Parco Tecnologico Padano (Ptp Science Park) e co-finanziato dal Comune di Milano, è guidata dall’ingegnere Stefano Babbini, 37 anni.

Stefano Babbini, che cos’è Mogu?
«Noi siamo una start up che lavora su un modello di business: biomateriali da scarti agricoli e miceli. Siamo partiti nel 2015, ma avevamo già iniziato precedentemente grazie all’attività di Maurizio Montalti che opera in Olanda come designer e artista. Quando lo abbiamo conosciuto, abbiamo deciso di portare la sua attività su scala industriale».

Come siete arrivati a questa attività?
«Io sono ingegnere ambientale e lavoro da un decennio nel settore delle biomasse a uso energetico. Faccio poi impresa da tempo. Tutto è nato conoscendo questa persona, Maurizio Montalti, che lavorava con materiali naturali. In sostanza li faceva crescere. Abbiamo sfruttato il suo bagaglio culturale, artistico e scientifico, su scala industriale e con altri soci. Ed è nata Mycoplast, sede a Inarzo, sul Lago di Varese. Abbiamo partecipato a diverse start up competition e siamo poi finiti nel programma di accelerazione d’impresa di Alimenta2Talent vincendo l’edizione del 2016».

In cosa consiste la vostra attività?
«Prendiamo scarti da alcune filiere produttive, principalmente agroindustria, dall’alimentare al tessile. Lavoriamo con questi prodotti, trinciati che vengono dai campi, come paglia, lolla di riso, pula, trinciati di potature e gusci di frutta secca, come nocciole. Ma anche scarti dalla lavorazione di prodotti alimentari come l’amido. E poi segature, cascami dell’industria tessile. Tutti questi materiali, a base di cellulosa, dopo essere stati pre-trattati, diventano cibo per un fungo che mettiamo in coltura in ambienti controllati. Il fungo colonizza gli scarti, cresce e si riproduce rapidamente aggregando il materiale. Funge da collante. Questo diventa una materia prima cui diamo poi una forma con degli stampi che la possono rendere più o meno robusta e compatta. Non contiene niente di chimico, tutto naturale. Anche nei post-trattamenti, per le finiture, usiamo solo resine naturali».

Che tipo di funghi utilizzate?
«Sia alimentari sia non alimentari utilizzati da industria farmaceutica e per estrazione di altre sostanze. Non utilizziamo però il frutto, ma la radice del fungo, un biopolimero: come la plastica, che è un polimero. Il nostro ha il vantaggio di non aver bisogno di petrolio o energia per essere prodotto. Oggi abbiamo una produzione limitata, siamo una start up. Ma coltivare miceli su larga scala porta a grandi numeri».

Quali sono gli utilizzi?
«Le potenzialità del materiale sono enormi. Possiamo lavorare con più ceppi fungini, diversi per consistenza, e con tantissime materie prime dalle varie fibre. Al momento siamo concentrati sulla bioedilizia e bioarchitettura come interior design, pannellature da interno, per esempio, con caratteristiche anche coibentanti e fonoassorbenti. Stiamo aprendo anche a una collaborazione per sviluppare componenti per il settore auto. L’ambizione è poi produrre anche semilavorati per arrivare all’industria del mobile».

Chi sono i vostri fornitori degli scarti di produzione?
«Collaboriamo con diverse aziende agricole e industriali. Anche nel settore della pasta. Abbiamo anche un progetto per realizzare packaging di design per il settore vino, utilizzando del trinciato e cippato di vite. Il packaging ci viene molto richiesto, anche se ha un valore aggiunto più limitato. Il nostro materiale è splendido: la gente quando lo tocca dice: “Wow!”. L’aspetto sembra un misto tra legno e marmo. Pensare di dargli una vita di pochi mesi perché biodegradabile un po’ dispiace. Ci viene anche molto richiesto il packaging alimentare, cioè contenitori a contatto con i cibi, ma al momento come start up ci è molto faticoso pensare anche a questa declinazione. Ci arriveremo piano piano».

A che livello è il vostro prodotto?
«A livello europeo siamo l’azienda più avanzata che lavora con questa tecnologia naturale. Abbiamo collaborazioni con università italiane e olandesi. L’Olanda è leader mondiale nella produzione di funghi alimentari. Per loro è facile pensare a biomasse fungine».