La bioterapia nutrizionale, racconta il medico e scrittore irpino Fausto Aufiero, studia come ottenere la massima biodisponibilità dei cibi. Attenzione dunque alle tecnica di cottura

La corretta tecnica di preparazione dei vari cibi e il loro giusto abbinamento può aiutarci a sfruttare al massimo la biodisponibilità e il potere terapeutico degli alimenti. Ne è convinto Fausto Aufiero, medico irpino di lunga esperienza esperto di medicine naturali, che con il naturopata romano Michele Pentassuglia ha scritto un libro «Il ruolo nutrizionale e terapeutico degli alimenti». La bioterapia nutrizionale sfrutta l’azione sinergica delle sostanze contenute nei cibi per salvaguardare la salute umana e migliorare le capacità metaboliche e disintossicanti dell’organismo. Molta attenzione è pertanto data anche alle migliori modalità di cottura, che ne esaltino le funzionalità terapeutiche. E a dispetto della corrente vulgata, la frittura, se fatta correttamente e con olio extravergine di oliva, costituisce ancora un’ottima scelta.

Che cos’è la bioterapia nutrizionale?
«Noi parliamo di alimenti, ma dovremmo piuttosto parlare di pasti: perché mangiamo in abbinamento. E spesso se una cosa fa bene o male dipende da come viene accoppiata. La bioterapia nutrizionale, pertanto, studia quello che succede dall’accoppiamento dei cibi. Faccio un esempio: se mangio una fiorentina insieme con il radicchio limito al massimo gli eventuali effetti negativi della carne; se invece ci metto vicino gli spinaci, che sono ricchi di sale, affatico i reni, perché la carne è già sapida. Un utilizzo consapevole degli alimenti ha allora un effetto potenzialmente terapeutico e può aiutare una cura, non certo sostituirsi ai farmaci».

Cottura alla piastra, arrostitura, brasatura, bollitura, saltatura, al forno, microonde: cuocere gli alimenti perché non è sempre uguale?
«Tecniche diverse significano diverse temperature, tempi diversi e strumenti diversi. Più il tempo è prolungato, in generale, più viene mortificata la vitalità degli alimenti. Oggi tendiamo a pensare solo in termini quantitativi, chilocalorie, contenuto delle vitamine, ma dimentichiamo altre variabili importati: la qualità degli alimenti e come possa essere preservata. In un’arancia conservata nei silos per mesi, la vitamina C è ormai ridotta a meno del 10 per cento. Se bevo una spremuta di arancia in un bar ad agosto, non fa certamente male, ma di vitamina C non ce ne è più. Altro esempio. Un tuorlo d’uovo è ricco di colesterolo, componente importante, ma che va ben dosata. Se lo consumo crudo la lecitina bilancia i danni del colesterolo in eccesso. Ma se lo faccio cuocere si riduce la disponibilità della lecitina e in quello sodo non ce ne è più: rimane solo il colesterolo».

Un tempo si prediligevano le lunghe cotture, i brasati: si sbagliava?
«Le cotture di un tempo, nonostante fossero lunghe, erano ideali per persone che avevano una sostenuta attività fisica. E che, dunque, avevano bisogno di proteine e sali persi con l’attività motoria. Oggi la vita sedentaria induce a ridurre il consumo di carne, che in verità non era neanche eccessivo una volta, visto che era limitato a uno o due volte la settimana».

Si dice che la migliore cottura sia il vapore perché conserva meglio gli alimenti, è vero?
«Sbagliato. Conserva, è vero, gli alimenti, ma ha anche degli handicap. Innanzitutto è più lunga, dunque li deteriora, poi fa trattenere liquido nell’alimento, il che comporta tutta una serie di spiacevoli effetti, come per esempio eccesso di flatulenza. E concentra i sali. E più sale significa aumento della pressione, problemi di cellulite».

Qual è allora uno dei metodi migliori?
«Il fritto. Il suo uso, non a caso, è millenario. Ma attenzione: tutto dipende da come si frigge. La prima cosa è la qualità dell’alimento. Se prendo delle patate pre-surgelate da friggere, quel cibo non è sano. Quindi il mezzo. Quando immergo un alimento in una sostanza lipidica si crea una patina intorno, l’alimento viene disidratato velocemente e non perde alcun nutriente. Se l’operazione è fatta correttamente, rispettando le temperature, l’olio non entra nel cibo. Se è fatta male, diventa dannoso. Teoricamente il miglior grasso di frittura sarebbe lo strutto, usato storicamente. Oggi non lo si consiglia più per svariate ragioni. Allora il mezzo ideale è l’olio, ma solo extravergine. Ci sono studi fatti dall’Università degli Studi di Napoli Federico II e in California che dicono addirittura che si può riutilizzare l’olio extravergine di frittura. Il suo punto di fumo è intorno a 140-180 gradi. Se si va oltre si danneggia. Ma il vantaggio è che l’extravergine ha un sistema di allerta: se si eccede nella cottura si produce acroleina e l’odore diventa acre. Dunque è come se suonasse un campanello d’allarme. E comunque l’olio extravergine ha proprietà benefiche. E reagisce in modo stabile all’attacco combinato dell’ossigeno e delle alte temperature, poiché è ricco in sostanze antiossidanti. Altri oli, come quelli di semi, non hanno le stesse proprietà nutritive. Sono sostanzialmente inodori, vengono scaldati a temperature più alte e si rischia più facilmente di superare il punto di fumo: se friggo male, pertanto mi intossico. Il burro si scioglie a 50-60 gradi, non è indicato per le fritture. L’olio di palma è pessimo e va evitato. Purtroppo anche nelle scuole spesso si utilizzano prodotti di scarsa qualità. Il risultato è che abbiamo bambini che già soffrono di sindrome metabolica e diabete. Il risparmio che si fa oggi sulla qualità lo paghiamo domani in termini di aumento di patologie».

Ci fa degli esempi di errori di cottura poco sana?
«Sono negative quelle che portano a temperature troppo elevate e per tempi troppo lunghi che alterano l’alimento. Ma sconsiglierei anche quella con il microonde: il riscaldamento avviene per frizione delle molecole d’acqua ed è disomogeneo. Idem per la piastra a induzione, il cui uso è infatti sconsigliato per le donne in gravidanza».

Quali sono i vantaggi e gli svantaggi di una cottura per la biodisponibilità di un alimento?
«Il discorso è complesso. Prendiamo il pomodoro. Se faccio il sugo potenzio la biodisponibilità del licopene, un potente antiossidante, utile, per esempio, per contrastare il tumore alla prostata. Riesco a estrarlo, anche se conservo a lungo il pomodoro sott’olio, come si fa coi pomodorini essiccati della tradizione. Ma le cotture rovinano le componenti termolabili, come la vitamina C. Un pomodoro cotto non ha più più vitamina C, che mi serve magari per combattere il raffreddore. Lo stesso discorso vale per il peperoncino, che è altrettanto ricco di vitamina C. La capsaicina, contenuta nel peperoncino, non ha invece alcun problema con la temperatura. Ecco perché diciamo di variare sia alimenti sia i metodi di cottura».

Come ci si deve comportare con le spezie?
«In genere è meglio utilizzarle fresche, ma dipende anche dove e come sono state coltivate. Lo zenzero, per esempio, non si altera con la cottura. Ha azione digestiva e noi lo stiamo sperimentando da un paio d’anni in chi soffre di patologie autoimmuni, abbinato alla curcuma. Quest’ultima contiene curcumina, la sua biodisponibilità viene potenziata in abbinamento con la piperina contenuta nel pepe. Anche il pepe favorisce la digestione, ha un’azione irritativa positiva sul fegato: è ideale se si mangiano piatti pesanti, ma va dosato con moderazione. Gli antichi romani ne facevano largo uso».

Cuocere alla griglia è sconsigliato, se diamo retta a quanto afferma l’Agenzia internazionale per la ricerca sul cancro?
«Basta fare attenzione a non mangiare l’alimento bruciacchiato. L’uomo ha cotto alla griglia per millenni. E non si è estinto. Serve una giusta misura. Che ci sia un eccesso di consumo di carne, poi, sono d’accordo».

Ultimamente sta riscuotendo successo tra i grandi chef la cottura sottovuoto. Che ne pensa?
«Ben venga. Il sottovuoto è un sistema vantaggioso, perché l’assenza di ossigeno permette di non utilizzare conservanti».

In conclusione, meglio cuocere gli alimenti o mangiarli crudi?
«Hanno ragione i crudisti: scherzo, anche se fino a un certo punto. La cottura ha avuto nella storia una funzione positiva, perché ha ampliato gli alimenti possibili da consumare. Sfido chiunque a magiare dei piselli crudi. Ha poi allungato la conservabilità degli alimenti, pensiamo alla carne. Ha migliorato l’assimilazione di certi alimenti, pensiamo a quelli ricchi di cellulosa che causerebbero meteorismo. D’altra parte l’alimento crudo mantiene intatte tutte le proprietà organolettiche. Ma anche qui ci vuole buon senso. Perché fissarsi su certe linee porta a psicopatologie alimentari. Abbiamo, per assurdo, i fruttariani, quelli che mangiano solo frutta. E, come sottoinsieme, esistono i melariani: quelli che mangiano solo la mela. E, ancora più radicali, i melariani integrali: quelli che mangiano solo la mela caduta dall’albero. Siamo alla follia».